Intorno al 1930 nascono i primi esposimetri elettrici: utilizzano una cellula fotosensibile al selenio capace di produrre un debole segnale elettrico proporzionale all'intensità della luce che la colpisce; la corrente generata viene inviata a un galvanometro il cui ago indica su un'apposita scala, un valore che consente di risalire all'esposizione necessaria per quelle condizioni di luce.
Ma prima del 1930 come si stabiliva l'esposizione necessaria per impressionare le pellicole?
Si utilizzavano prevalentemente delle tabelle che riassumevano le condizioni di luce più comuni, i fotografi professionisti custodivano gelosamente gli appunti sui risultati ottenuti dalle prove sul campo, e i produttori di pellicole inserivano dei fogli esplicativi nelle confezioni.
Se capitava di non avere le tabelle a disposizione, poteva essere necessario fare ricorso alla propria memoria, e quindi si escogitavano regole che ne facilitassero il compito, ad esempio quella universalmente conosciuta come "regola del 16".
Questa regola stabilisce un punto fermo per una specifica condizione di luce: "Se il soggetto è illuminato frontalmente dalla luce del sole, con cielo sereno e nelle ore centrali della giornata, bisogna impostare il diaframma f/16 e un tempo di scatto uguale al reciproco della sensibilità della pellicola utilizzata" (ad esempio: con una pellicola 100 ISO, si utilizzerà un tempo di 1/100s). Naturalmente l'f/16 serve solo come riferimento mnemonico,
e quindi si possono utilizzare tutte le coppie tempo/diaframma equivalenti; mentre con le fotocamere che non disponessero di 1/100s, si opterà per il tempo di scatto più vicino, ad esempio 1/125s.
e quindi si possono utilizzare tutte le coppie tempo/diaframma equivalenti; mentre con le fotocamere che non disponessero di 1/100s, si opterà per il tempo di scatto più vicino, ad esempio 1/125s.
Partendo poi da questa regola era possibile dedurre tutta una serie di possibili condizioni di luce per le quali ricordare di quanti stop modificare l'esposizione di riferimento per ottenere una buona foto:
- sole pieno su neve o spiaggia con sabbia chiara: chiudere uno stop - f/16 e 1/250s
- sole velato: aprire di uno stop - f/16 e 1/60s
- cielo nuvoloso o soggetto in ombra con sole pieno: aprire di due stop - f/16 e 1/30s (ma è preferibile modificare in f/11 e 1/60 per evitare il mosso)
- cielo molto nuvoloso: aprire di tre stop - f/16 e 1/15s (meglio modificare in f/8 e 1/60s)
e così via.
Questo regola trovava riscontro non solo nei foglietti di istruzione delle pellicole ma anche nelle regolazioni presenti su alcune macchine d'epoca prive di esposimetro, e ancora la ritroviamo nelle fotocamere economiche in commercio sino agli anni 80, che per semplificare la vita al fotografo dilettante, riportavano graficamente sulle ghiere di regolazione i simboli del sole, delle nuvole, ecc., selezionando i quali veniva impostata la coppia tempo/diaframma necessaria per ottenere una corretta esposizione.
Ma questo breve tuffo nel passato, mi ha portato a fare un'altra considerazione: ci siamo abituati sempre di più a contare esclusivamente sugli automatismi presenti nelle attuali macchine fotografiche e questo può limitare fortemente la nostra capacità di valutare quali siano le condizioni di illuminazione di una scena, e le possibili modifiche necessarie per ottenere un particolare risultato dalla nostra foto; potrebbe essere interessante, e forse anche divertente, fare qualche esperimento che ci aiuti ad acquisire quella sensibilità che ci sarebbe stato indispensabile avere se fossimo nati nei primi decenni del 900: prendiamo la nostra macchina digitale e ogni volta che vediamo qualche cosa che vorremmo fotografare, prima ancora di inquadrare la scena, facciamo un'ipotesi su quale possa essere la corretta esposizione partendo dalla regola del 16, prendiamo nota della nostra scelta e scattiamo la foto impostando manualmente la coppia tempo/diaframma scelta, poi passiamo alla lettura automatica e scattiamo una seconda foto. Tornati a casa con le due esposizioni per ogni fotografia dedichiamo un poco del nostro tempo a confrontare e valutare i risultati ottenuti.
Tornando agli esposimetri, esistono due diverse tipologie di lettura esposimetrica:
1) A luce incidente: sono esposimetri esterni alla fotocamera, che leggono la quantità di luce che arriva sul soggetto da fotografare. Per fare questo sono dotati di una semisfera traslucida che ha il compito di raccogliere la luce proveniente a 180° da ogni direzione; per effettuare la lettura vengono posti nella stessa posizione del soggetto o in un punto vicino che si trova nelle stesse condizioni di illuminazione.
2) A luce riflessa: possono essere esterni o interni alla fotocamera, e leggono la luminosità della scena da fotografare, ovvero la luce che quella scena riflette; nel caso degli esposimetri interni alle nostre fotocamere, leggono la luce che arriverà sul sensore attraverso l'obiettivo. Vengono universalmente tarati in fabbrica per un valore di grigio medio che riflette il 18% della luce che lo colpisce, che viene assunto come riferimento centrale della possibile scala di grigi che possono essere ricompresi in una scena tipo, consentendo di dare un'esposizione corretta per una buona percentuale di foto.
- l'esposimetro a luce incidente sarà totalmente indifferente al colore del gatto, e dato che misura la luce che colpisce il soggetto, darà la stessa esposizione per entrambi.
- l'esposimetro a luce riflessa, sarà fortemente condizionato dal fatto che la pelliccia del gatto nero assorbe quasi tutta la luce riflettendone pochissima, mentre quella del gatto bianco la riflette quasi totalmente.
(La foto gatto bianco e gatto nero è tratta da: http://www.100caniegatti.it)
Questo farebbe pendere il giudizio a favore dell'esposimetro a luce incidente, e molti professionisti che lavorano in studio o su set in esterni non possono certamente farne a meno; ma non sempre è possibile misurare la luce che arriva nel punto in cui si troverà il soggetto, che a volte può essere molto distante da noi, mentre in tante altre situazioni di ripresa non ci sarà il tempo utile per poter fare una misurazione e poi spostarsi per scattare la foto.
Nella maggior parte dei casi quindi, dovrete fare affidamento sull'esposimetro a luce riflessa della vostra fotocamera, essendo consapevoli che potrà essere ingannato in alcune specifiche condizioni di luce. Nel caso esposto prima, l'esposimetro a luce riflessa indicherà una esposizione che cercherà di portare a un grigio medio al 18%, sia il gatto nero che quello bianco: in poche parole potremo trovarci a ottenere due gatti grigi; il gatto nero verrà sovraesposto e il gatto bianco sottoesposto (con molta probabilità di circa 2 stop).
Riassumendo: l'esposimetro a luce riflessa si comporta in maniera eccellente nei casi di scene con contrasto medio-basso, nelle quali il grigio medio (18% di luce riflessa) rappresenta il punto di equilibrio, mentre è in difficoltà cresente:
- nelle scene ad alto contrasto: persona dentro casa con una finestra alle spalle o all'esterno in controluce, foto in teatro, due persone vicine: una con abito bianco e l'altra nero, viale illuminato da lampioni di notte, ecc..
- dove prevalgono marcatamente i toni chiari: paesaggi innevati, spiagge con sabbia chiara, persona con abito bianco, superfici brillanti o che riflettono la luce, ecc..
- dove prevalgono marcatamente i toni scuri: un'auto nera, persona con abito nero, terreno di tipo lavico, la luna di notte, ecc..
Altra caratteristica degli esposimetri a luce riflessa, e che influisce in maniera rilevante sulla bontà della lettura , è il sistema di lettura utilizzato:
- Spot: l'area di lettura è esclusivamente quella di una ben circoscritta area centrale dello schermo. Consente una lettura molto precisa quando il soggetto principale è al centro della scena e se si vuole evitare l'influenza delle restanti aree, in caso contrario può portare ad errori marcati. Può essere utilizzato per valutare quale sia la gamma dinamica, misurando con precisione il livello di luminosità più alto e più basso presenti nella scena.
- Media ponderata al centro: in questo caso la lettura ricomprende tutta l'area dello schermo ma da un maggior peso alla parte centrale, nella quale si presuppone si possa trovare normalmente il soggetto principale o comunque gli elementi di maggior interesse. Ogni produttore può bilanciare differentemente il rapporto tra la parte centrale e periferica dello schermo, determinando risultati differenti tra i diversi modelli di fotocamera. Era una lettura molto utilizzata negli anni 70-80, progressivamente abbandonata a favore del sistema Matrix.
- Valutativa multizona o Matrix: è il sistema più utilizzato attualmente e che prevede di leggere separatamente varie zone dell'immagine (da un minimo di 5 a parecchie decine); viene assegnato comunque un maggior peso all'area centrale, ma il software tiene conto delle altre letture e di possibili differenze marcate tra zona e zona (ad esempio la presenza del sole in un'angolo dell'immagine) e confronta i dati rilevati con una serie di possibili casi tipo che ha in memoria, prima di decidere quali valori assegnare all'esposizione. E' certamente la lettura che da i risultati più attendibili, con la minore necessità di intervento da parte del fotografo.