Fotografia digitale, consigli sulla ripresa e sull'elaborazione delle immagini, utilizzo attrezzature e accessori per la fotografia, discussioni e novità in campo fotografico, fotografie e interviste realizzate da Rodolfo Serpi.
Le interviste: Marty, Marta Floris - Il Baule del Gatto.
Per questa intervista sono andato a Gonnosfanadiga, un paese della provincia del Medio Campidano alle pendici orientali del monte Linas. Gonnosfanadiga e anche conosciuta come “La città dell’olio d’oliva”, perché nel suo territorio si produce e vende uno dei migliori olii prodotti in Sardegna.
Mi trovo nella casa di Marta Floris, un’antica casa campidanese con un grande portale in legno e un ampio cortile, nella quale abita da poco tempo e che sta pazientemente ristrutturando. Ci siamo accomodati all’interno di un loggiato che si apre su dei locali originariamente utilizzati come magazzini e che oggi funge da laboratorio del “Il Baule del Gatto”:
D: Ciao Marty, ricordo che diversi anni fa, quando per la prima volta mi parlarono di una ragazza che creava oggetti che si discostavano nettamente da quanto si vedeva normalmente circolare nei mercatini, fui colpito dall’originalità del nome che aveva dato al suo laboratorio: “Il Baule del Gatto”, mi racconti come e perché hai scelto questo nome?
R: Quando si è trattato di realizzare il sito per esporre i miei lavori volevo assolutamente trovare un nome originale. Sono una persona alla quale piacciono le cose particolari: sono appassionata di oggetti antichi come quelli che si possono trovare nelle scatole o nei bauli delle vecchie soffitte; dato poi che, come è risaputo, mi piacciono tantissimo i gatti - amo il mio gatto da morire – mi è venuta in mente l’immagine di un gatto sopra un baule in soffitta, è nato così il nome “Il Baule del Gatto”. E’ un nome simpatico, che tra l'altro richiama la sorpresa di chi apre un vecchio baule polveroso scoprendo che al suo interno si trovano tante cose diverse, come le mie creazioni che spaziano in tanti campi differenti; un nome che sin dal primo momento è stato gradito molto anche dalle persone che si avvicinavano incuriosite al mio banchetto.
D: Dopo aver preso il diploma nel Liceo Artistico di Cagliari, la tua passione per l’arte ti ha portata ad allargare i tuoi orizzonti andando oltre il disegno e la pittura, e ti sei dedicata alla creazione di bijoux, gioielli in argento e pietre preziose, borsine, pochette, portamonete, scatole in legno e vetro dipinte a mano, capi d’abbigliamento decorati con i tuoi disegni, quale di queste attività ami di più e ti da maggiori soddisfazioni?
R: La cosa che in assoluto mi da maggiore soddisfazione è lavorare i metalli, ha preso il posto anche del disegno che era la mia vocazione; l’idea che avevo all’inizio era quella di diventare una disegnatrice di fumetti, un’illustratrice. Poi, mi è capitato di entrare a lavorare nel “Teatro delle mani” come scenografa, in quel contesto ho realizzato tante altre cose, dato che mi veniva chiesto di costruire i burattini e diversi oggetti di scena. Così ho imparato a utilizzare materiali di vario tipo e quando è stato necessario realizzare una corona per il re ho cominciato a prendere confidenza anche con la lavorazione dei metalli, da quel momento è nata e cresciuta nel tempo una vera e propria passione. Tutto ciò che faccio mi piace comunque moltissimo: lavorare con la stoffa, dipingere, però... lavorare i metalli e in particolare l’argento è una sfida che mi entusiasma.
D: Quando parli della lavorazione di metalli quindi ti riferisci prevalentemente all’argento?
R: Si, perché è possibile ottenere degli effetti che con altri metalli non si ottengono, ho abbandonato da tempo gli altri fili da bigiotteria, e per la realizzazione di gioielli uso quasi esclusivamente l’argento.
Lavoro anche il bronzo e l’ottone, due metalli che mi piacciono e che ritengo particolarmente funzionali nella realizzazione di un altro tipo di creazioni: per esempio se lavoro a un’agenda, un cappello, una borsina o una pochette, alcune decorazioni possono essere realizzate in bronzo oppure in ottone.
Lavoro anche il bronzo e l’ottone, due metalli che mi piacciono e che ritengo particolarmente funzionali nella realizzazione di un altro tipo di creazioni: per esempio se lavoro a un’agenda, un cappello, una borsina o una pochette, alcune decorazioni possono essere realizzate in bronzo oppure in ottone.
D: Ogni tu creazione evidenzia una particolare passione per l’antico, il misterioso, il magico, attraverso uno stile medievale, gotico, ma anche vittoriano, steampunk.
R: Sono appassionata di cose antiche, mi piace tutto ciò che è antico, non solo gli oggetti ma anche le case, come questa in cui vivo ora e che adoro. Penso di essere una delle poche persone che si fermano ad ammirare i fregi dei vecchi palazzi, soprattutto se si tratta di art-nouveau, che mi fa letteralmente uscire di testa. Inoltre mi ha sempre attirato l’aspetto gotico del periodo vittoriano, i vampiri, e poi il soprannaturale, i fantasmi o le case con “presenze”. Sin da bambina poi, amo il fantasy: la storia infinita, labyrinth, ecc.; quando andavo per boschi con i miei genitori a cercare funghi, la mia mente si perdeva in quel luogo misterioso e restavo in attesa di vedere da un momento all’altro apparire una fata o un folletto. Ho sempre vissuto in un mondo tutto mio, tra l’antico e il fantasy, è il mio modo di essere, un’espressione di me; io stessa mi sento “antica”, fuori tempo, e poi di carattere sono un po’ streghetta, quindi…
D: Ma è un mondo in cui credi o semplicemente che ti attira, ti solletica?
Fotografare quando c'è poca luce e scende la notte - 2°parte: Utilizzare il Treppiede.
Quando la scena che vogliamo riprendere è statica, abbiamo la fortuna di poter studiare con calma l'inquadratura che più ci piace e decidere quali siano le regolazioni che si adattano meglio al risultato che ci siamo preposti di ottenere.
In questo caso la scelta migliore che possiamo fare e che ci consentirà di avere il massimo delle possibilità a nostra disposizione, è quella di poter fare affidamento su un supporto in grado di assicurare stabilità al nostro apparecchio fotografico.
In questo caso la scelta migliore che possiamo fare e che ci consentirà di avere il massimo delle possibilità a nostra disposizione, è quella di poter fare affidamento su un supporto in grado di assicurare stabilità al nostro apparecchio fotografico.
Fotografare utilizzando un treppiede:
i vantaggi che derivano da questa scelta sono notevoli, primo fra tutti il fatto di mettere da parte le preoccupazioni derivanti dall'allungamento dei tempi di scatto, aspetto che tra le altre cose consentirà di utilizzare:- diaframmi intermedi per ottenere una resa migliore da parte dell'ottica e una profondità di campo più ampia; ma se la situazione dovesse richiedere che sia tutto a fuoco, a partire da un soggetto in primo piano sino allo sfondo, non si avrà nessuna difficoltà a chiudere ulteriormente il diaframma sino ad arrivare a valori di f/11 - f/16, e se indispensabile spingersi fino a f/22 (normalmente poco utilizzato a causa degli effetti negativi sulla nitidezza dovuti alla diffrazione).
- una sensibilità bassa, a tutto vantaggio della qualità dell'immagine, che presenterà un rumore contenuto, una gamma tonale più ampia e la migliore riproduzione dei colori di cui è capace la nostra fotocamera.
Focale 28mm. con f/13 e 8sec. a 100 ISO |
Ma anche utilizzando un treppiede, non bisogna fare l'errore di sentirsi eccessivamente sicuri di avere eliminato così ogni possibile causa di vibrazioni.
A parte l'aspetto piuttosto ovvio, per cui conta la robustezza e il carico massimo in peso gestibile dal treppiede che viene utilizzato, è indispensabile avere una serie di accortezze che possano darci la garanzia di ottenere la massima stabilità possibile:
A parte l'aspetto piuttosto ovvio, per cui conta la robustezza e il carico massimo in peso gestibile dal treppiede che viene utilizzato, è indispensabile avere una serie di accortezze che possano darci la garanzia di ottenere la massima stabilità possibile:
- utilizzare un dispositivo di scatto remoto (a cavo, a infrarossi o wireless), dato che anche la semplice pressione sul pulsante di scatto può indurre delle vibrazioni che permangono anche durante l'apertura dell'otturatore (in mancanza si può utilizzare l'autoscatto).
- selezionare l'apposita funzione che consente di bloccare in alto lo specchio della reflex prima dello scatto, visto che il movimento del gruppo di sollevamento dello specchio provoca consistenti vibrazioni:
- disabilitare lo stabilizzatore dell'obiettivo, che tratto in inganno dall'uso di un supporto stabile come il treppiede, reagisce con dei leggeri aggiustamenti del gruppo ottico che paradossalmente possono finire per generare delle immagini affette da micro-mosso.
Per quanto riguarda invece l'esposizione, dobbiamo considerare che quando scende la notte le condizioni di luce si invertono: di giorno sono le ombre a dare tridimensionalità, di notte sono le parti illuminate a emergere dalle aree più scure o buie. A questo si aggiunge il fatto che spesso sono presenti delle fonti di luce intensa all'interno dell'inquadratura.
Gli esposimetri delle nostre fotocamere, per quanto siano sofisticati, si trovano quindi a operare in condizioni di luce tali per cui vanno frequentemente in difficoltà e se si vuole ottenere un'esposizione ben bilanciata tra luci e ombre, è spesso indispensabile effettuare delle correzioni manuali.
Il mio consiglio è quello di scattare inizialmente una foto in automatico e dopo aver valutato il risultato sul display e dato un'occhiata all'istogramma risultante, spostarsi sulla regolazione manuale apportando le correzioni necessarie.
Può essere comunque utile scattare più foto della stessa scena con esposizioni diverse, dato che la fotografia notturna è uno dei casi in cui anche l'esame dell'istogramma può trarre in inganno, sopratutto se entrano nell'inquadratura luci particolarmente intense.
In una foto notturna, il divario tra le parti in luce e quelle in ombra è tale per cui le luci dei lampioni o dei faretti accesi, andranno quasi sempre a collocarsi al di fuori dalla gamma registrabile risultando bruciate, mentre la gran parte dei dei toni della foto sarà spostata verso le ombre, come possiamo vedere nell'istogramma relativo a quest'ultima immagine.
Diversamente da quanto si verifica per una foto scattata con luce calante ma con un cielo ancora abbastanza luminoso, nella quale i valori si distribuiscono in maniera più equilibrata, come ci aspettiamo di vedere per una foto esposta correttamente.
Può essere comunque utile scattare più foto della stessa scena con esposizioni diverse, dato che la fotografia notturna è uno dei casi in cui anche l'esame dell'istogramma può trarre in inganno, sopratutto se entrano nell'inquadratura luci particolarmente intense.
In una foto notturna, il divario tra le parti in luce e quelle in ombra è tale per cui le luci dei lampioni o dei faretti accesi, andranno quasi sempre a collocarsi al di fuori dalla gamma registrabile risultando bruciate, mentre la gran parte dei dei toni della foto sarà spostata verso le ombre, come possiamo vedere nell'istogramma relativo a quest'ultima immagine.
Diversamente da quanto si verifica per una foto scattata con luce calante ma con un cielo ancora abbastanza luminoso, nella quale i valori si distribuiscono in maniera più equilibrata, come ci aspettiamo di vedere per una foto esposta correttamente.
Le Interviste: Rory Piu - Rory's Bijoux
Oggi sono a Settimo San Pietro, un piccolo paesino (circa 6700 anime) a soli 12 Km. da Cagliari, e mi trovo nel laboratorio di una giovane che ama l’handmade e si dedica alla creazione di bijoux utilizzando il fimo.
Alcuni di voi penseranno subito che sono tanti gli hobbisti che adoperano le paste polimeriche per le loro creazioni, e che in gran parte realizzano oggetti molto semplici, ma le interviste pubblicate sulla pagina di "The Creative Art" puntano sempre a farvi scoprire delle persone che, pur operando in campi molto diversi, sono comunque dotate di un particolare talento artistico, e Rory è certamente una di queste.
D: La prima domanda è una semplice curiosità che molti avranno leggendo il nome del tuo account facebook e la denominazione della tua linea di prodotti: il tuo nome è Roberta ma preferisci farti chiamare Rory, come mai?
R: Nasce tutto dalla serie TV “Una mamma per amica”, una delle protagoniste si chiama Rory, un nome che mi è piaciuto subito tantissimo, e quando si è trattato di aprire il blog ho sentito che quello era il nome più adatto da abbinare alla linea di bijoux che stavo realizzando. Non so spiegare esattamente il perché, ho provato diverse possibili varianti basate sul mio nome, ma alla fine Rory’s Bijoux mi è sembrato perfetto. Nelle lettere iniziali richiama il mio nome, ma è più breve, immediato e semplice, come in fondo mi sento io: una persona semplice con le sue passioni. Ho sentito questo nome talmente mio, che mi è venuto spontaneo adottarlo anche per la pagina personale.
D: Hai completato il tuo corso di studi al’IPSS Sandro Pertini prendendo il diploma di tecnico della moda e del costume, un'area in qualche modo contigua a quella che si occupa della creazione di gioielli e bijoux , quindi la tua passione risale a diversi anni fa?
R: In realtà la mia passione nasce già da piccola, come tante bambine amavo giocare con le classiche perline, e anche quando stavo da mia nonna mi bastava avere un poco di pasta bucata per ricavarne bracciali e collane. Anche più grandicella, stavo sempre a “pasticciare” con la plastilina, il didò, e poi il das, che mia madre era solita comprarmi, e passavo delle ore a creare le mie collezioni di “gioielli”.
Un’altra passione che avevo da ragazzina era quella di disegnare vestiti e questo mi ha portato, più avanti negli anni, a seguire un corso di studi dell’IPSS espressamente orientato alla moda. Ma dopo aver preso il diploma ho realizzato che dovevo dare spazio a quella che era la mia vocazione più forte: la moda mi piaceva tantissimo, ma mai quanto la creazione di bijoux.
D: Cosa ti ha portato a scegliere di utilizzare le paste polimeriche per realizzare le tue creazioni?
R: Come dicevo prima, mi è sempre piaciuto lavorare con le paste modellabili, materiali che grazie alla loro duttilità possono essere plasmati sino a prendere la forma di ciò che si ha in mente di realizzare. Inoltre, mi piaceva cercare di fare le cose in miniatura, più erano piccole più era grande la mia soddisfazione; da questo punto di vista , la pasta polimerica è il materiale ideale.
Sono arrivata al Fimo per caso: mentre effettuavo una ricerca per la tesi del diploma su internet mi sono imbattuta in un lavoro che ha colpito la mia attenzione, ho subito cercato altre informazioni e i possibili punti vendita nei quali trovare il materiale, che in quel momento non era ancora così diffuso come oggi.
Quando ho iniziato a lavorarlo è stato come tornare bambina, ma questa volta avendo la possibilità di lavorare in maniera matura e di poter crescere; il fimo offre tante possibilità, si possono realizzare lavori molto semplici così come si possono ottenere delle creazioni estremamente elaborate. La lavorabilità è eccezionale, così come la possibilità di ottenere tutta la gamma di colori e sfumature, inoltre se ben condizionato (lavorato bene con le mani sino a scaldarsi uniformemente e amalgamarsi) e cotto correttamente (temperatura corretta e costante, raffreddamento graduale) è un materiale che può durare una vita.
Le Interviste: Laura Fortuna e le vignette di "Lac".
Oggi mi trovo nei Giardini Pubblici di Cagliari e sono insieme a Laura Fortuna, la disegnatrice che ha inventato il personaggio di "Lac": una bambina che, pur nella semplicità del tratto che la ritrae, ha subito colpito l'attenzione delle persone riscuotendo un immediato successo.
Nelle vignette di Lac ciascuno può ritrovare qualcosa che gli appartiene: le difficoltà quotidiane di una vita che ci appare sempre in salita, quei momenti di sconforto e paura che qualche volta ci assalgono, ma anche la capacità di reazione che ci consente di superarli, la volontà di non rinunciare a sognare, la capacità immutata di farsi catturare dalle cose semplici come la bellezza di un cielo stellato.
Ma in questa intervista scoprirete che il talento di Laura va oltre le vignette di Lac e che la sua creatività unita alla tenacia le consentono di spaziare in tanti altri campi dell’espressione artistica.
Ciao Laura, ti ringrazio per aver accettato di fare
questa intervista.
D: Dopo
un rapido esame del tuo profilo e della pagina facebook dedicata a Lac , mi
sono fermato un attimo a riflettere e mi son detto: se dovessi riprendere Laura
mentre è impegnata in una delle sue tante attività, come posso immaginare la
scena?
Il primo pensiero è stato: seduta dietro una grande scrivania, circondata e quasi sommersa da pile
di libri?;
o meglio: con
una matita in mano, intenta nel compito di disegnare la prossima vignetta di Lac?;
ma anche: mentre
dietro le quinte, in attesa che si apra il sipario, “indossa le vesti” del
personaggio che dovrà interpretare?;
e ancora: al
centro di un gruppo di persone che ascoltano affascinate una sua lezione di dizione?;
o molto più semplicemente: nel
divano di casa, con vicina la gatta Luna acciambellata, mentre suona la sua fisarmonica?.
Ma chi è davvero Laura Fortuna?
R: Sicuramente
hai colto gli aspetti più salienti, il primo punto mi rispecchia appieno: sono
spesso seduta alla scrivania e la scrivania è piena di libri, ma anche di
matite, penne, quadernetti, delle cose con cui disegno; altrettanto vale per il
letto che, quando sono stanca, prende il posto della scrivania.
Ed è vero anche il secondo punto, mi capita spesso
a fine giornata di prendere in mano la matita e iniziare a disegnare, quasi
sempre in cucina, ma mi succede un po’ dove capita, può accadere anche in un
momento di pausa seduta al bar.
Realizzare queste vignette mi serve per smaltire quelle piccole tensioni che a volte si accumulano durante la giornata: qualche cosa che mi ha dato fastidio o fatto arrabbiare, e a un certo punto sento il bisogno di scherzarci sopra, allora arriva Lac e mi aiuta a superare le negatività.
Il teatro poi, è un aspetto centrale della mia
vita, ho iniziato sin da quando ero ragazzina e frequentavo le superiori. Anche
se è da un po’ che non sto sulla scena, perché ultimamente mi sono
dedicata maggiormente all’attività didattica, soprattutto tenendo corsi di
lettura e dizione, inizialmente in collaborazione con associazioni culturali e da
qualche anno anche in maniera autonoma.
C’è da dire che dopo aver fatto l’attrice per circa dieci anni, ho cambiato mestiere perché sono diventata libraia e da lì ho ricevuto nuovi stimoli, ma il teatro è una parte di me e non potevo rinunciarci, e così a fine novembre debutterò con uno spettacolo creato insieme a un gruppo di allievi che ha deciso di seguirmi nelle mie "follie".
C’è da dire che dopo aver fatto l’attrice per circa dieci anni, ho cambiato mestiere perché sono diventata libraia e da lì ho ricevuto nuovi stimoli, ma il teatro è una parte di me e non potevo rinunciarci, e così a fine novembre debutterò con uno spettacolo creato insieme a un gruppo di allievi che ha deciso di seguirmi nelle mie "follie".
Un’altra immagine nella quale mi rispecchio, è il
divano di casa con affianco la mia gatta Luna; mentre per quanto riguarda la
fisarmonica purtroppo non la sto suonando così spesso, anche se, poco prima di
venire qui ho provato a suonare il valzer di Amélie, e me lo ricordo ancora.
Un aspetto che mi sento di aggiungere alle cose che
hai citato tu, è il mio nuovo lavoro in libreria: anche aldilà delle ore nelle
quali sono presente, io non riesco a smettere totalmente di essere immersa in
questo lavoro. Non so come spiegarti, è più che una passione, intanto perché
sin da piccola ho sempre amato i libri e poi perché questo lavoro mi ha un poco
cambiato anche come lettrice. Quando sei in libreria devi essere in grado di
consigliare i libri non in base al tuo gusto personale ma a quello del cliente,
questo mi ha portato a spaziare nelle mie letture, prima incentrate molto sui
testi teatrali, aprendomi un mondo di autori che
non conoscevo. Mentre prima mi concentravo su un autore che mi piaceva,
leggendo tutto quanto aveva scritto, adesso sento molto importante il fatto di allargare
le mie competenze, anche e soprattutto nei riguardi di autori che non conosco,
e pure nella mia ricerca personale, ho più fame di cose nuove.
Fotografare quando c'è poca luce e scende la notte - 1°parte: Scattare a mano libera.
Solo a partire dalla seconda metà dell'800 le emulsioni fotografiche consentirono di utilizzare tempi di esposizione inferiori al secondo, tanto che da quel momento fu necessario dotare le apparecchiature fotografiche di un vero e proprio otturatore che consentisse il controllo preciso dei tempi di scatto.
Sino ad allora il fotografo, dovendo gestire tempi particolarmente lunghi, agiva semplicemente togliendo e rimettendo il tappo dell'obiettivo e scattava quasi esclusivamente con condizioni di pieno sole.
Chi come me ha iniziato a fotografare negli anni settanta, ha visto aumentare progressivamente la disponibilità di pellicole con sensibilità sempre più alta, partendo da 320-400 ISO per salire a 800 - 1000 - 1600 e arrivare sino a 3200 ISO. L'incremento della sensibilità, pur con i suoi limiti qualitativi, consentiva di fotografare a mano libera con condizioni di luce nelle quali prima era impossibile.
Ma nonostante l'evoluzione tecnica delle emulsioni, la carenza di luce ha rappresentato da sempre per i fotografi una delle maggiori limitazioni e quindi un ostacolo particolarmente ostico da superare.
Sta di fatto che anche con il digitale una parte consistente di fotoamatori smette di fotografare quando scende la luce, anche se così rinuncia a delle ottime opportunità.
- i tempi di scatto diventano decisamente più lunghi con il rischio di incappare nel mosso;
- l'eventuale utilizzo del diaframma aperto ai massimi valori va a scapito della profondità di campo e della qualità dell'immagine (aberrazioni);
- la scelta di sensibilità più alte ha come conseguenza un marcato incremento del rumore e una contrazione della gamma dinamica registrata.
- quando le luci artificiali presenti sono di vario tipo, il sistema automatico di bilanciamento del bianco va in crisi;
- il sistema AF rallenta, stenta a trovare il punto di messa a fuoco e può diventare impreciso;
- l'esposimetro viene ingannato, influenzato dalla forte luminosità dalle luci artificiali che molto spesso si trovano all'interno dell'inquadratura;
- il contrasto tra luci e ombre è spesso molto alto, mentre nelle zone debolmente illuminate può essere particolarmente basso.
Focale 24mm., f/6,3 a 1/25sec. a mano libera - 6400 ISO. |
Iniziamo da un aspetto che servirà a dividere in due parti l'argomento da trattare: non appena la luce scenderà decideremo subito di utilizzare un treppiede, o siamo intenzionati a scattare in tutti i casi a mano libera?
Si tratta infatti di due opzioni che, oltre alle preferenze personali e allo stile di ciascun fotografo, sono adatte a situazioni di ripresa differenti e possono comportare risultati diversi dal punto di vista qualitativo, condizionando in alcuni casi la possibilità massima di ingrandimento delle immagini risultanti.
Partiamo dalla fotografia a mano libera.
Può essere una scelta precisa: abbiamo preso la decisione di girare per le strade della città, fotografando ciò che più ci piace: palazzi, negozi, persone, mezzi di trasporto, come se le condizioni di luce fossero ottimali; liberi da vincoli, con un'attrezzatura leggera che non stanchi e che ci renda poco invadenti, riprendendo anche soggetti che sono in movimento.Ma può anche essere una necessità: ci troviamo costretti a scattare a mano libera perché non abbiamo con noi il treppiede, oppure può capitare che in quello specifico contesto sia complicato l'utilizzo di un treppiede o non sia consentito.
Elliot Compagnia Teatrale: focale 100mm, f/6,3 a 1/200sec. - 6400 ISO. |
Questo obbligherà a selezionare livelli di sensibilità crescenti man mano che la luce scende, con il conseguente progressivo aumento della quantità di rumore che risulterà presente nell'immagine.
Quindi la sfida che dobbiamo affrontare per avere dei buoni risultati dal punto di vista tecnico quando scattiamo a mano libera, è quella di riuscire a trovare il miglior compromesso tra la nitidezza dell'immagine e la presenza di rumore, optando per tempi di scatto adeguati al contesto, senza aumentare eccessivamente la sensibilità.
Le Interviste: Sandro Serra - Spazio 61.
Mi trovo nei locali della galleria-atelier "Spazio 61" in via dei Genovesi 48 nel cuore del quartiere Castello di Cagliari, e sono in compagnia di Sandro Serra che ho conosciuto da poco tempo ma che ho apprezzato subito, sia come artista, sia come persona.
D: Raccontami come è nata la tua passione per l’arte.
R: Mio nonno, Ennio Perrotti, era un pittore e io da bambino mi soffermavo spesso a guardarlo mentre dipingeva, ammirando incantato la semplicità apparente di quei gesti dai quali prendevano vita i suoi lavori. Lo osservavo a lungo e mi inebriavo dell’odore dei colori a olio, un aroma che trovavo particolarmente piacevole.
Così è nato il mio interesse per il disegno e la pittura, che poi mi ha spinto a prendere la decisione di provare a dipingere. Mi dedicavo al genere figurativo classico, inizialmente utilizzando gli acquerelli, poi i colori a olio e successivamente anche gli acrilici.
Ma pur partecipando ad alcune mostre e concorsi, il dipingere ha rappresentato per molti anni una passione che apparteneva e si fermava esclusivamente alla mia sfera personale. Forse già d’allora avvertivo che attraverso quel genere di pittura non riuscivo ad esprimermi al meglio, intuivo che dal punto di vista artistico quella non era la mia strada.
D: Negli anni successivi c’è stata una svolta artistica molto netta. Cosa ti ha spinto a un cambiamento così radicale?
R: Come dicevo, benché facessi il figurativo ero sempre alla ricerca di qualcosa che mi caratterizzasse maggiormente. Ricordo che, partecipando a un concorso di pittura, avevo realizzato in maniera rigorosa uno scorcio ad acquerello, un dipinto che veniva giudicato molto positivamente da persone competenti e anche indicato come uno dei possibili vincitori. Il risultato fu che arrivai tra gli ultimi: pur essendo un lavoro molto apprezzato dal punto di vista tecnico, non aveva convinto la giuria, non ero stato capace di stimolare una riflessione, di riuscire a trasmettere un sentimento, di far provare un’emozione.
Questo episodio mi convinse definitivamente della necessità di trovare una nuova forma di espressione che rompesse completamente con il passato.
"Clock" (...nello spazio e nel tempo d'un sogno è racchiusa la nostra breve vita - W. Shakespeare) - opera di riferimento della personale di Sandro Serra "Time" |
Attraverso lo studio dei movimenti artistici di varie epoche e la metabolizzazione degli stili che venivano utilizzati, ho sviluppato una tecnica personale, un nuovo linguaggio di tipo informale nel quale potermi cimentare, ma contrariamente al passato, questa volta maturato attraverso una riflessione intima che finalmente sento essere mia.
Spazio 61 - Rassegna d'Arte "Ciao Primavera".
L'Associazione culturale Spazio 61, propone dal 6 al 14 giugno, il terzo gruppo di artisti che hanno aderito alla rassegna d'arte "Ciao Primavera - Cinquanta sfumature... di colore".
La mostra è allestita in via dei Genovesi 48, nel quartiere Castello di Cagliari, all'interno dello studio d'arte di Sandro Serra, che in queste occasioni viene temporaneamente adibito a spazio espositivo.
Ho visitato la mostra domenica mattina, apprezzando i lavori esposti, che spaziano dall'astratto al figurativo, e comprendono anche tecniche miste e sculture.
Gli artisti coinvolti in questa tornata sono: Tiziana Cabboi, Francesco Cau, Luca Cossu, Stefania Faedda, Vincenzo Manca, Manucra Marcias, Gianni Mattu, Angela Mei, Sara Pedoni, Stefania Pedoni, Michelle Pisapia, Rita Carla Piras, Francesca Sanna, Alessia Sirigu.
Sono inoltre presenti alcuni lavori dello stesso Sandro Serra che mi ha seguito durante tutta la visita, fornendomi interessanti elementi sulle opere e sugli artisti che le hanno realizzate.
Potete vedere di seguito alcune foto che ho scattato nella circostanza:
Gli artisti coinvolti in questa tornata sono: Tiziana Cabboi, Francesco Cau, Luca Cossu, Stefania Faedda, Vincenzo Manca, Manucra Marcias, Gianni Mattu, Angela Mei, Sara Pedoni, Stefania Pedoni, Michelle Pisapia, Rita Carla Piras, Francesca Sanna, Alessia Sirigu.
Sono inoltre presenti alcuni lavori dello stesso Sandro Serra che mi ha seguito durante tutta la visita, fornendomi interessanti elementi sulle opere e sugli artisti che le hanno realizzate.
Potete vedere di seguito alcune foto che ho scattato nella circostanza:
Spazio 61 - Il quadro in primo piano a sinistra è di Tiziana Cabboi |
Le interviste: Emanuela De Murtas - Unapietralcollo - gioielli di sasso.
D. Osservando le tue creazioni mi viene spontaneo pensare che il tuo percorso personale sia in qualche maniera legato al disegno e alla pittura.
R. Per dieci anni ho lavorato a contatto con l'infanzia. Il mio lavoro era fortemente caratterizzato dall'aspetto grafico; il registro che utilizzavo nel rapporto con i bambini era quello della raffigurazione e dell'illustrazione, competenza per la quale venivo maggiormente richiesta: insomma disegnavo con i bambini e per i bambini.
D. Questa era una tua predisposizione naturale o anche gli studi che avevi fatto erano in quella direzione?
R. E’ stata sempre una mia naturale inclinazione; sin da bambina avevo manifestato una particolare propensione per il disegno, un linguaggio che mi risultava istintivo, evidenziando una precocità che faceva ben sperare.
Tuttavia si ritenne opportuno che prima percorressi una via di approfondimento umanistico, quindi ho frequentato il liceo classico e in seguito la facoltà di sociologia. La mia è una famiglia di artisti (il mio nonno paterno pittore e mio padre disegnatore di talento). Sono stata educata a considerare il lavoro artistico come un lavoro di alto profilo, che implicava necessariamente il passaggio attraverso un background intellettuale. Il concetto era che non bastasse una naturale propensione al disegno, ma fosse indispensabile conoscere la storia dell'arte, acquisire un senso estetico che maturasse anche attraverso lo studio e così via... Per tanti anni ho lasciato questo lato di me chiuso in un cassetto, senza mai coltivarlo in maniera mirata e sistematica; posso dire, oggi, con un certo rimpianto.
D. Come mai hai scelto per le tue creazioni dei semplici sassi?
R. Mi ero trasferita da circa un anno in una casa in campagna assieme a Mark, il mio fidanzato e, come accade frequentemente di questi tempi, persi il lavoro che sino a quel momento mi aveva dato stabilità. Ero fermamente decisa a trovare al più presto un altro impiego, ma persone a me vicine suggerivano che non mi lasciassi prendere dall’urgenza e mi ripetevano: “lascia per qualche tempo che le cose accadano e sarà la vita a darti uno spunto quando verrà il momento”. In quel periodo, che per me doveva comunque essere assolutamente transitorio, mi sono dedicata a fare quelle cose bellissime che mentre lavoravo non avevo il tempo di fare. Oltre a curare la casa, l’orto e quant'altro, leggevo e facevo lunghe passeggiate sulla spiaggia. Per la prima volta dopo tanti anni vivevo in uno spazio dilatato dove potevo vedere e osservare a lungo delle cose che, nella frenesia degli impegni quotidiani, non riuscivo più a cogliere. In quelle passeggiate, lente, pervase dai colori e dagli odori, ho ritrovato sensazioni provate da bambina, quando mi facevo trasportare dalla fantasia immaginando che i sassi in riva al mare fossero in realtà delle pietre preziose. Ricordo come cercassi e raccogliessi le più belle; un piccolo tesoro che immaginavo di custodire in uno scrigno prima di restituirlo alle onde. Un tesoro alla portata di tutti, semplicemente bastava l’attenzione giusta per riuscire a vederlo.
Ma tornando ai giorni nostri, in una mattina di primavera, sulla spiaggia, ho raccolto alcuni sassi neri, piatti, lucidi, dalla forma perfetta; ne ho poggiato uno sul dorso della mano e ho visto che aveva un’ottima vestibilità come anello. Ho pensato: in questo momento ho il tempo per dedicarmi un po' alla creatività... c’è chi fa decoupage, chi lavora a punto croce, io mi porto a casa questo sasso e provo a farne un anello. Era sicuramente anche uno spunto per rimettere mano a pennelli a colori. Così ho dipinto un motivo astratto su quel sasso. L'anello realizzato era effettivamente grazioso e così per qualche tempo mi sono divertita a creare collane, bracciali, orecchini e anelli, ottenuti sempre dipingendo sui sassi.
Le Interviste: Cintia Orrù - GhirigoriGlass
Sono a Dolianova, una cittadina della Sardegna sud-orientale che si trova nel cuore del Parteolla.
Mi trovo nel laboratorio di Cintia Orrù che sotto il marchio GhirighoriGlass produce perle e gioielli in vetro di Murano.
Mi trovo nel laboratorio di Cintia Orrù che sotto il marchio GhirighoriGlass produce perle e gioielli in vetro di Murano.
Ciao Cintia, grazie per aver accettato di fare questa intervista, prima di iniziare dovresti togliermi una curiosità: il tuo nome è certamente poco comune, mi chiedevo se si pronuncia come è scritto.
Si, si pronuncia così com’è scritto, mio padre voleva assolutamente un nome che non fosse comune e aveva in mente il nome latino Cynthia, ma poi ha deciso di semplificarlo e renderlo ancora più personale trasformandolo in Cintia. Per lui dovevo essere diversa in tutto dalle altre bambine e voleva renderlo evidente già a partire dal nome.
(ndr: a Roma, Artemide era spesso invocata come Cynthia, appellativo che poi si è diffuso come nome proprio; ai giorni nostri si è trasformato nel più comune Cinzia, mentre la variante Cinthia è ancora presente, soprattutto in Toscana ed Emilia Romagna)
Bene, passato il timore di pronunciare erroneamente il tuo nome, partiamo con le domande:
- Non sono molti gli artigiani che in Sardegna lavorano il vetro, raccontami come è nata questa passione.
Ho sempre avuto una predisposizione artistica e amavo tantissimo disegnare. Sin da piccola, come trovavo un pezzo di carta non potevo fare a meno di riempirlo di scarabocchi, e anche crescendo, ogni diario, quaderno e libro, erano invasi dai miei ghirigori (da questo è nata l’idea del nome dato all’attività).
Seguendo questa mia inclinazione, una volta arrivata alle scuole superiori, mi sono iscritta all’Istituto d’Arte di Oristano dove ho appreso le basi per la lavorazione della ceramica.
Un giorno, mentre frugavo tra i manuali presenti in libreria, mi è capitato di trovare un libricino sulla vetrofusione, in uno dei capitoli finali si parlava della lavorazione a lume: mi si è aperto un mondo!
Una volta scattato l’interesse tutto è avvenuto molto rapidamente, perché io sono fatta così, quando una cosa mi piace mi faccio prendere dall’entusiasmo. Non si trovavano testi italiani sull’argomento, così ho cercato e letto quanto più potevo sul web, anche se paradossalmente gran parte del materiale realmente utile sulla lavorazione era sempre in inglese.
Dopo meno di un mese avevo già ordinato un kit in America, un’attrezzatura base che mi consentiva di fare le prime esperienze sulla lavorazione a lume.
Vi ricordo che basta cliccare con il mouse sopra le immagini per poterle vedere ingrandite.
- Quando hai capito che avresti potuto trasformare la passione in un lavoro a tempo pieno?
Inizialmente era esclusivamente un hobby, che aveva il grande pregio di farmi staccare dal quotidiano, un momento in cui potevo dedicarmi totalmente a me stessa e alla mia passione. All’epoca lavoravo nell’ambito della ristorazione, un lavoro particolarmente stressante che non mi appassionava e non mi gratificava. Tornavo a casa tardi, di notte, stanca, a volte spossata, solo la voglia di lavorare il vetro c’era sempre, mi rilassava completamente sia mentalmente che fisicamente, aiutandomi ad allentare la tensione e alleviare l’affaticamento accumulato durante la giornata.
E' stata una decisione molto difficile perché lasciavo un lavoro sicuro e ben retribuito per un’attività che non sapevo quali risultati mi avrebbe dato dal punto di vista economico.
Ma nonostante le incertezze iniziali e le difficoltà incontrate lungo il cammino, non cambierei in alcun modo la decisione presa, non tornerei indietro.
- Quindi la scelta fatta ha modificato positivamente la qualità della tua vita?
Assolutamente! Lavorare a lume comporta uno stato di presenza notevole, una concentrazione assoluta, indispensabile per lavorare a pochi centimetri da una fiamma ad altissima temperatura; inoltre, per le creazioni che amo fare di più, è necessaria una grande precisione di movimenti e tempi, un susseguirsi di gesti ripetuti, cadenzati e precisi, tanto che per me questo tipo di lavorazione assume una dimensione quasi meditativa che porta a uno stato di calma e benessere per il corpo e la mente.
Iscriviti a:
Post (Atom)
Canon amplia la linea R con le nuove mirrorless APS-C R7 e R10
Si sente spesso parlare di un imminente abbandono delle fotocamere con sensori più piccoli del Full-Frame, ma i produttori, complice la cont...
Post più popolari
-
Il legame naturale che esiste tra fotografia, disegno e pittura, mi ha sempre incuriosito. Pur nella consapevolezza che ciascuna delle...
-
Nei due post di aprile sulla valutazione delle prestazioni degli obiettivi, parte 1 e parte 2 , ho cercato di fare il punto sui difetti del...
-
Tra le possibili regolazioni presenti nelle reflex della Canon, troviamo una serie di pre-impostazioni chiamate "Stile Foto" o...
-
La maggior parte delle fotografie che vediamo in rete o che ci vengono mostrate da amici e parenti rappresentano un panorama, uno scorcio ci...